Una lunga poesia triste
Forse è per l’ansia di dover scrivere questa recensione (per la cronaca, è l’ultimo debito del 2012), ma ultimamente ho ripensato spesso a La schiuma dei giorni. Lo stile naif e surreale, alcune immagini incredibili come quella del pianocktail, (il pianoforte che, insieme alla musica, produce cocktail), il fondo amarissimo di questa storia… Non pensavo che mi sarebbero rimasti così impressi.
Ma andiamo con ordine. Tutto è cominciato a novembre, alla mostra “A Milano c’è il mare” presso lo
Spazio Nibe di via Hajec, in cui mia zia,
Margrieta Jeltema, esponeva alcune opere. Tra le sue creazioni ce n’era una particolarmente bella, intitolata
L’écume des jours (nella foto)
. Il mio francese zoppicante e la mia scarsa cultura mi hanno portato a chiedere spiegazioni. «Ma come – mi chiede Margrieta – non hai mai letto Boris Vian?». Ovviamente no, ma dal titolo sembra interessante.
Tempo due giorni, e finisco ad una visita guidata dentro la
Marcos Y Marcos. Mentre i due fondatori ci propongono le loro lodevoli iniziative editoriali, io mi guardo in giro. E in bella vista, all’ultimo piano, mi trovo davanti niente di meno che un enorme poster con la copertina della
Schiuma dei giorni. A quanto pare, una specie di manifesto della casa editrice. Va be’, per farla breve, due segni in tre giorni mi sono sembrati sufficienti: sono andata in biblioteca e mi son procurata il libro.
E veniamo infine al libro.
Colin è un giovane bello, buono e pure ricco, a cui, per essere perfettamente felice, manca solo una fidanzata. Fortunatamente a una festa incontra la dolce Chloe e, con lei, può coronare il suo sogno d’amore. A condividere la loro gioia, una zuccherosa coppia di amici: Chick, ingegnere squattrinato e appassionato di Jean-Sol Partre e la meravigliosa Alise. I quattro si intrattengono tra surreali svaghi e sdolcinate smancerie. Tutto sembra perfetto, ma, ahimè, proprio quando il lettore comincia a chiedersi se tra due pagine non gli verrà il diabete, le cose cambiano. Impercettibilmente, l’equilibrio si spezza, la meravigliosa pace dei protagonisti si incrina. L’atmosfera si fa ad ogni riga più pesante: chi aveva tutto, d’improvviso non ha niente. Il lettore questo salto proprio non se l’aspettava, e ci rimane quasi peggio dei protagonisti. Va bene limitare le effusioni in pubblico, ma quei quattro in fondo non facevano niente di male, erano pure buoni. C’era proprio bisogno di colpirli così duramente? A quanto pare sì, per dimostrare che il mondo è un brutto posto, o qualcosa del genere.
Lo stile surreale amplifica vertiginosamente la sensazione di caduta, facendo del paesaggio circostante un grande e distorto specchio dei sentimenti dei protagonisti. Dalle immagini lievi delle prime pagine, con le descrizioni dei pranzi pantagruelici e dei lussi sfrenati a cui Colin e i suoi amici si, si passa al disagio asfittico di un mondo che, anche fisicamente, si restringe ad ogni riga. L’effetto è convincente, e sicuramente in francese sarà più efficace che in italiano (anche se devo dire che ho trovato la traduzione di Gianni Turchetta molto curata e attenta).
E cosa dire infine del risultato complessivo? È un bel romanzo? Non lo so, non sono convinta, non direi.
Sicuramente è un libro strano: pesantissimo e potentemente critico verso la società contemporanea, basti pensare alle riuscitissime descrizioni sul mondo del lavoro, sul lavoro che aliena e abbrutisce. Sicuramente è un romanzo poetico, ricco di immagini stupende. È un’opera che a modo suo avvince, e trascina il lettore, incredulo, a scoprire la fine della tragica vicenda dei suoi innocenti protagonisti. È un’opera che, come dicevo all’inizio, rimane impressa e torna in mente come un monito, una cantilena triste.
Ecco, forse questo può essere un inizio di risposta: forse La schiuma dei giorni non ha la portata narrativa del romanzo, manca di approfondimento psicologico, di una conclusione convincente e di un sacco di altre cose. Forse è piuttosto come una lunga poesia: musicale, suggestiva, impressionante. Fatta per essere ammirata, più che capita fino in fondo.
Concludo con un paio di suggerimenti musicali (anche se in teoria non mi competono, Petro mi perdonerai):